Torta di riso alla vecchia maniera
Chiedere aiuto.
E’ il verbo dell’ammissione di non autosufficienza, dell’accettazione dei propri limiti.
Faccio fatica a chiedere aiuto, su tutto. Fare da sola, fare tutto, fare al meglio, non chiedere. Fare da sola, fare tutto, fare al meglio, non chiedere. Solo oggi ho capito davvero – nel profondo, una di quelle risposte che si ti attacca allo stomaco e non se
ne va – perché mi costa così fatica. Mi costa fatica perché non so ricevere. Mi sembra di approfittarne, quello che prendo è un macigno pesantissimo rispetto ai sassolini che do e aumenta un debito immaginario che sento non appianerò mai, è un pensiero claustrofobico. Sono in un paese straniero, ho in tasca una moneta che non vale come la valuta locale, il mio denaro non vale nulla. Mi sento così da una vita.
Anzi, cambio tempo verbale. Mi sentivo così da una vita.
O meglio, mi ci sento ancora, ma adesso so quanto è bello chiedere. Perché quando non hai alternative, non hai tempo perché devi agire ora e subito, sei stordita dai cambiamenti e incapace di mantenere salda la tua lucidità, non hai altra possibilità. Ero in tilt, in “botta piena”. Ho chiesto.
“Non lo so fare, ma tu come fai?”. “Ho bisogno di una mano, ogni gesto è ben accetto”. “Sono nella merda, aiutami”. Ci ho messo tutta la dignità del mondo ma l’ho fatto, e quello che ho scoperto si chiama solidarietà. Ho ricevuto valanghe di aiuti, di informazioni, di risoluzione di piccoli problemi, di sostegni concreti: ho ricevuto da chi sapevo ci sarebbe stato, ma soprattutto da chi non avrei immaginato, un adrenalinico circolo virtuoso dove mi sono riempita delle braccia di chi dona per scoprire che di lì a breve avrei elargito io, a qualcun altro.
Perché quello che non mettevo in conto è che non si riceve quasi mai dalle persone a cui si da, e non si ricambia mai alla pari con chi ci ha donato. C’è sempre un altro anello della catena, e il momento in cui ti agganci è quello in cui comprendi il senso dei tre momenti del dono. Dare. Ricevere. Restituire.
Ho ricevuto due messaggi in questi giorni: “Ali ho bisogno di te, come faccio a…”. “Mi daresti una mano in questa cosa?”: è stato lì che ho capito, con lo stesso lo stesso sapore di un boomerang lanciato ad arte che torna indietro. Io sono in traiettoria, lo afferro. E lo rilancio subito.
TORTA DI RISO ALLA VECCHIA MANIERA
Preparazione: 30 minuti+ riposo Cottura: 35-40 minuti Dosi: 8-10 persone
Ingredienti:
- 180 g di riso (Roma o Originario)
- 150 g di zucchero semolato
- 850 g latte fresco intero
- scorza di un’arancia
- scorza di un limone
- 1 pizzico di cannella
- 1 pizzico di sale
- 3 uova medie
- 15 g di rum
- 40-50 g di uvetta
- 50 g di farina di mandorle
- 2 cucchiai di zucchero di canna
In una casseruola molto capiente inserite il latte con la metà dello zucchero, il sale, le scorze dei due agrumi e il pizzico di cannella, portando a ebollizione. Nel frattempo, inserite un contenitore basso e largo nel frigorifero o meglio nel freezer, vi sarà utile per raffreddare poi il riso cotto.
Versate il riso nel latte cuocere mescolando spesso per evitare che il riso si attacchi sul fondo, proseguendo la cottura fino al completo assorbimento del liquido. Versatelo nel contenitore freddo, coprendolo con pellicola a contatto e lasciatelo freddare.
Mettete a bagno l’uvetta nell’acqua fredda per farla reidratare.
Quando il riso sarà intiepidito, iniziate a montare le uova con l’altra metà dello zucchero, con le fruste elettriche o in planetaria: lavorate il composto per almeno 5 o 6 minuti, fino a ottenere una montata chiare e spumosa, corposa e stabile.
Accendete il forno a 175°-180°. Riprendete il riso e lavoratelo con un mestolo o una spatola per ammorbidirlo, poi incorporate un terzo della montata di uova e amalgamate i due composti, in modo abbastanza energico, per ottenere una consistenza omogenea e cremosa. Unite all’impasto la farina di mandorle, l’uvetta scolata e asciugata, il rum e mescolate ancora. A questo punto inserite il resto della montata di uova e zucchero, mescolando delicatamente dal basso verso l’alto per non smontarla.
Versate il composto in una tortiera del diametro di 24 cm, rivestita sul fondo e sui bordi con la carta forno: distribuite sulla superficie lo zucchero di canna, infornate e cuocete 35-40 minuti, poi sfornate e lasciate freddare su una griglia, rimuovendola dallo stampo quando sarà intiepidita.
Spolverizzate con zucchero a velo e servite.
I miei consigli:
Quando foderate uno stampo a cerniera con la carta forno, procedete in questo modo: inserite un foglio di carta forno tra la base e l’anello, poi chiudete la cerniera. Sporcate appena le pareti interne del bordo con un pezzetto di burro, poi ritagliate una striscia di carta forno lunga quanto la circonferenza dello stampo e inseritela all’interno, facendola aderire ai bordi grazie alla traccia di burro. In questo modo, non dovrete perdere tempo a imburrare e infarinare – a maggior ragione in questo caso, che la torta è senza glutine -; inoltre, dopo la cottura, otterrete una torta perfettamente tonda, che non si sarà deformata a causa delle pieghe della carta forno inserita dall’alto.
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